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3 motivi per cui è importante parlare al femminile

Aggiornamento: 14 mar 2020


 

Le parole sono importanti e lo saranno sempre. In esse ci rappresentiamo, ci rispecchiamo, ci confrontiamo e da esse veniamo rappresentati.

Per questo motivo è fondamentale che le parole facciano capire chi siamo, partendo dalla loro declinazione.


Nella lingua italiana molti hanno remore nel declinare al femminile i nomi che indicano mestieri, professioni e ruoli istituzionali, soprattutto quando la posizione che rappresentano è vista come particolarmente prestigiosa.


Recentemente ho avuto un confronto con una donna che attualmente ricopre un ruolo importante nella Pubblica Amministrazione. Mi ha colpito molto la sua riluttanza nell'essere chiamata al femminile, nonostante il recente documento ministeriale contenente le linee guida per l' uso corretto del linguaggio amministrativo (http://www.icvolturara.edu.it/wp-content/uploads/2018/05/Linee-guida-per-l-uso-del-linguaggio-amministrativo-del-Miur.pdf).


Per questo motivo ho deciso di elencare 3 motivi per cui è importante parlare al femminile.


 


1. IL CAMBIAMENTO DELLA SOCIETÀ DA ANDRO-CENTRICA A MODERNA


Il principio ‘androcentrico’, ovvero caratterizzato dalla centralità dell’uomo, oramai non rappresenta più la società italiana. Per secoli l’universo linguistico si è focalizzato sulla figura maschile. Consultando le varie testate giornalistiche e scolastiche si trovano spesso espressioni quali: “gli uomini della preistoria” e “la storia dell’uomo”. La figura maschile è sempre stata al centro della narrazione di ogni vicenda umana.

Tuttavia, questa narrazione androcentrica risulta ad oggi obsoleta.

Nella società moderna attuale la donna non è più vista come inferiore, inutile o stupida, ma rappresenta una parte centrale della vita sociale del paese. È importante che ciò emerga anche a livello linguistico.


2. RICONOSCERE I “NUOVI” RUOLI DELLE DONNE


È luogo comune ritenere che i femminili non servano per affermare la parità di genere e siano cacofonici. Spesso le persone considerano la declinazione al femminile di alcune cariche (ministra, assessora, consigliera) come vomitevole, orrenda, oscena o antiestetica. Mi chiedo, però, per quale motivo termini come contadina, operaia o maestra non subiscano lo stesso trattamento ma siano ritenuti corretti e normali.

La risposta risiede nella concezione che la nostra società ha delle donne.

Fino a metà del secolo scorso, molte professioni erano pressoché precluse alle donne e perciò quasi sempre declinate al maschile (dottore, chirurgo, sindaco). Al contrario, la presenza costante delle donne all'interno delle fabbriche, delle scuole e dei campi ha permesso che ci fosse una terminologia corretta per descrivere la loro mansione.

Con la nascita della Repubblica Italiana, nonostante l’ingresso sempre più massiccio delle donne in nuovi ambiti professionali, si è preferito lasciare la declinazione maschile anziché dare fin da subito la declinazione al femminile. Si è quindi creata l’errata convinzione che la flessione al maschile sia l’unica corretta.

Con certi nomi il problema si è in parte arginato aggiungendo il suffisso -essa, inapplicabile, però, dove al maschile non corrispondeva una forma femminile.

A favore dei termini ‘architetta’, ‘avvocata’, ‘assessora’, ‘cancelliera’, ‘consigliera’, ‘ingegnera’, ‘magistrata’, ‘medica’, ‘ministra’, ‘notaia’, ‘prefetta’, ‘sindaca’ si è espressa, varie volte negli ultimi anni, l’Accademia della Crusca, massima istituzione di verifica della correttezza del nostro linguaggio.

Ebbene, è stata proprio la Crusca a ricordarci che la declinazione femminile di molte professioni non è solo corretta linguisticamente, ma è positivamente sintomatica del mutamento di linguaggio a seguito del cambiamento della società e dei ruoli ricoperti da ciascuno.

I termini al femminile servono quindi a normalizzare la presenza delle donne all'interno dei contesti professionali.


3. DARE AUTORITÀ E AUTOREVOLEZZA AL FEMMINILE


Nonostante esistano termini come ‘Sostituta Procuratrice’, ‘Sindaca’ e ‘Consigliera’, alcune donne che ricoprono questi ruoli autorevoli affermano di preferire la declinazione al maschile.

Questo avviene perché si ritiene che una collocazione professionale sia importante solo se qualificata al maschile, quasi non riconoscendo ruolo e autorità al genere femminile. Emerge quindi il pregiudizio linguistico, dovuto fondamentalmente a un’abitudine consolidata. Per combattere questo pregiudizio è necessario che ogni donna che ricopre una carica istituzionale o all'interno della Pubblica Amministrazione adotti la declinazione al femminile. In questo modo si contribuirebbe a sradicare il pregiudizio che non è di per sé presente della parola stessa, ma nella mente delle persone.


“Succede che ciò che non viene nominato tende a essere meno visibile agli occhi delle persone. In questo senso,  chiamare le donne che hanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio, ma il riconoscimento della loro esistenza: dalla camionista alla minatrice, dalla commessa alla direttrice di filiale, dalla revisora dei  conti alla giudice, dalla giardiniera alla sindaca. E pazienza se ad alcune le parole “suonano male”: ci si può abituare.” – VERA GHENO


Il percorso verso una piena parità di genere passa anche attraverso le parole. Le parole sono importanti in quanto promotrici e veicolo di una società.

Per anni abbiamo combattuto per la nostra indipendenza, per il diritto di voto, per avere ruoli dirigenziali, per amare chi vogliamo... Tutte queste conquiste per poi essere chiamate come loro?!

Non credo proprio.

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