victoria oluboyo
Il Covid-19 ci impone un cambio di rotta sulle politiche sociali, lavorative ed ambientali

Stare a casa ci porta a riflettere su cosa sia davvero importante, di cosa abbiamo davvero bisogno e a come molte cose si siano da troppo tempo date per scontate.
L’epidemia mostra come nessuno sia immune alle ripercussioni economiche, sociali e ambientali del virus.
Situazioni che per anni sono state archiviate e a cui non è stata data la giusta importanza ci perseguitano ogni giorno, facendo capire che al termine di questa condizione nulla sarà più come prima.
Ci troviamo non sono in una pandemia mondiale, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma anche in una crisi emotiva mondiale, nella quale vediamo il lato migliore e peggiore dell’essere umano.
Il pensiero del post virus è costante, è sempre presente.
La vita della quarantena è ricca di emozioni che ognuno manifesta in modo personale.
C’è chi, senza remore, cerca modi per aiutare il prossimo: portando la spesa all'anziano della porta accanto, non chiamando la polizia per l’anziana che vive nella solitudine e di mattina presto scorrazza nelle vie desolate del quartiere per sentirsi viva; altri invece, nel momento di sconforto, creano muri, si dividono, invocano l’immunità di gregge affermando che subiremo la perdita di vite umane o urlano a un’Europa assente scordandosi che l’Europa non è il singolo Paese ma l’insieme di Paesi (di conseguenza la Germania parla a nome proprio, non parla a nome dell’Europa intera).
“La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni bibliche. Molti oggi vivono nella paura per la propria vita o sono in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati. Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile.” – Mario Draghi
Le parole dell’ex presidente della Banca Centrale Europea (BCE) sono state una boccata d’aria fresca, una linea da seguire per cercare di non uscire in modo disastroso e a pezzi da questo momento terribile.
La cosa certa è che dobbiamo essere pronti a cambiare le nostre abitudini e cambiare rotta sulle politiche ambientali, lavorative e sociali adottate negli ultimi anni.
Partendo dal riconoscere la presenza di una crisi climatica che dobbiamo necessariamente affrontare nel breve periodo, pensando a tutele per tutti i lavoratori e le lavoratrici in tutti i settori nel nostro Paese e investendo nell'istruzione pubblica e nella sanità pubblica.
Il covid-19 diminuisce l’inquinamento mondiale
Grazie alla presa di posizione di Greta Thumberg sul problema climatico, negli scorsi mesi in tutto il mondo milioni di giovani e attivisti ambientali hanno chiesto ai governi di tutto il mondo di attuare misure concrete volte al contenimento e alla salvaguardia del territorio.
Surreale è stato vedere temperature fuori dal normale in Finlandia a febbraio 2020 (quando si sono raggiunti i 20 gradi), surreale è stato anche vedere come il clima nel mese di febbraio in Italia (nella regione Emilia- Romagna) sia stato particolarmente caldo, con temperature che si sono aggirate tra i 15 ed i 18 gradi per tutto il mese , pensando quindi che la primavera fosse arrivata in anticipo.
Impressionante vedere come l’emergenza mondiale dettata dal virus abbia ridotto drasticamente l’inquinamento mondiale.
Le immagini del satellite artificiale Sentinel 5 gestito dalla Commissione Europea e dall’Agenzia Spaziale Europea hanno fatto il giro del mondo mostrando la netta riduzione del biossido di Azoto nel nord Italia dopo le restrizioni imposte dal Governo al fine di combattere la diffusione del virus Covid-19.

L’arresto dell’inquinamento atmosferico non è avvenuto solo in Italia, ma anche in Cina e nel resto del mondo. Il calo è avvenuto grazie alla riduzione dei gas nocivi emessi dai veicoli a motore e dalle fabbriche a seguito delle misure di chiusura totali imposte nella regione di Wuhan e successivamente nel resto del Paese.

Curioso vedere come il virus abbia costretto il mondo a respirare, a fermarsi. Facendo sì che la qualità dell’aria potesse migliorare.
Viene spontaneo chiedersi se tra qualche mese le macchine torneranno a riempire le strade di tutto il mondo oppure se si cercheranno davvero metodi alternativi volti a tutelare l’ambiente e l’aria.
Il privilegio lavorativo
Una delle cose che sono emerse fin da subito dopo i provvedimenti adottati in Italia per il contenimento del virus è stata sicuramente la disparità sociale in ambito lavorativo.
Quando nelle radio, in televisione e sui social tutti dicevano ‘io resto a casa’, si dimenticava la maggior parte della popolazione che a casa avrebbe voluto rimanerci ma non poteva perché non aveva il privilegio di lavorare da casa facendo smartworking.
Operai, operatrici domestiche, addetti nei supermercati, riders e corrieri ad oggi continuano a lavorare, spesso senza tutele e ‘portano avanti l’economia’.
La Filt Cgil ha dichiarato che nell'azienda di Amazon il fatturato sarebbe raddoppiato rispetto al periodo natalizio e che sono in duemila persone a lavorare senza mascherine.
Sconcertante è il fatto che gli operai delle grandi fabbriche alimentari, i riders e i corrieri quotidianamente entrano a contatto con centinaia di persone esponendosi quindi a un eventuale contagio.
Sarebbe opportuno che in questo particolare momento, per tutelare più persone possibili, coloro che sono a casa limitassero allo stretto necessario di ordinare cibo sulle piattaforme come JUST EAT, Deliveroo ecc e acquistassero cose online per limitare i contatti ma soprattutto salvaguardare una categoria di persone che protezione non ha.
La carenza di personale nella sanità pubblica
Il virus ha portato alla luce un problema presente oramai da tanto tempo negli ospedali, solo che nessuno ne parlava: la carenza di personale ospedaliero all'interno degli ospedali.
Lo studio dell’organizzazione OCSE (Organisation for Economic Co-operation and Development) ha analizzato il numero complessivo di persone che nel mondo si occupano di assistenza e di cure mediche. È emerso che in Italia sono presenti 3,9 dottori ogni 1000 abitanti. Un numero elevato, che pone l’Italia al quinto posto della classifica. Sono sorprendenti quindi le carenze quotidiane di personale negli istituti ospedalieri. Una situazione dovuta al mancato ricambio generazionale del personale medico, registratosi negli ultimi vent’anni. L’entrata in vigore del numero chiuso, nel 1999, e l’attivazione del test d’ingresso per l’accesso alle facoltà di medicina hanno portato a una maggiore selezione dei profili da formare e a un invecchiamento del personale.
Da anni molte associazioni studentesche tra cui Udu – Unione degli Universitari, presente a livello nazionale e con propri rappresentanti all’interno del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (organo che formula pareri e proposte al Ministero dell’istruzione, università e ricerca) – hanno mosso critiche sul numero chiuso a medicina e alle professioni sanitarie, affermando che occorre tornare a finanziare l’università e la ricerca, in modo tale da poter mettere in campo un modello di progressiva apertura dei corsi di laurea di area medica e poter così garantire alla fine del percorso di formazione dei futuri giovani medici un numero maggiore di ingressi nel Sistema Sanitario Nazionale, che deve obbligatoriamente essere potenziato e ampliato.
”Crediamo che sia necessaria, ora più che mai, una seria inversione di rotta e pretendiamo che si riparta dal rifinanziamento dell’istruzione pubblica e della Sanità Pubblica e dall'elaborazione di un piano strategico che metta al centro la formazione dei giovani medici. Serve un’azione concreta di revisione degli accessi, superando l’attuale ed iniquo sistema, capace di risolvere immediatamente l’imbuto formativo delle Scuole di Specializzazione dell’Area Medica, quindi con un raddoppio degli attuali numeri, adeguando il numero di posti e le Borse al numero di laureati dell’area medica dell’anno precedente” – Coordinatore Nazionale Udu, Enrico Gulluni
In questo particolare periodo storico, la nostra libertà personale viene limitata drasticamente; ogni persona, nel suo piccolo, rinuncia a qualcosa, fa un sacrificio per poter essere liberi nel prossimo futuro.
Oggi stiamo pagando il conto di scelte errate fatte in passato: la crisi climatica, il lavoro senza tutele e certezze, il taglio costante alla sanità e all'istruzione.
Quando usciremo da questo periodo di quarantena sarà importante avere la consapevolezza dei nuovi cambiamenti che dovremo apportare ai nostri stili di vita per ‘sistemare’ gli errori del passato.
Ne usciremo più forti di prima solo se saremo coscienti degli errori fatti e faremo di tutto per cambiare rotta.