victoria oluboyo
Il razzismo ai tempi del coronavirus
Aggiornamento: 14 mar 2020

Il virus COVID-19, detto Coronavirus e scoperto in Cina, si sta spargendo a macchia di leopardo in tutto il mondo.
Dopo la conferma del primo caso di contagio in Italia, nella regione Lombardia, si è creato un vero e proprio allarmismo generale che ha portato alla chiusura di scuole, università, alcune aziende e fabbriche, cinema e all'annullamento di eventi, manifestazioni e concorsi pubblici nelle tre regioni più colpite: Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
La paura di questa nuova malattia, della quale non si conosce a oggi una cura certa, ha creato una psicosi generale portando le persone ad avere paura di ogni cosa, convincendole che l’unica prevenzione efficace sia rimanere chiusi in casa.
L’idea di evitare il contatto con l’esterno per settimane, o addirittura mesi, ha fatto sì che i supermercati nelle varie regioni fossero presi d assalto, lasciandoli vuoti.
Le varie reti di informazione hanno fomentato l’allarmismo crescente e i social sono stati motore e veicolo per la divulgazione continua di fake news sul virus, notizie fallaci e apocalittiche.

Il clima generale, caratterizzato da un mix di paura, ignoranza e disinformazione, ha creato un ambiente perfetto per individuare il capro espiatorio del momento: gli asiatici.
Nell'ultimo mese i casi di aggressione incontrollata e immotivata nei confronti di cinesi, o semplicemente di chi avesse tratti somatici orientali, sono stati in costante aumento.
Hanno avuto risonanza nazionale 3 casi particolari.
Il primo concernente Zhang, un ragazzo italiano di origini cinesi, che si era fermato a una stazione di servizio nei pressi di Cassola (Vicenza) per fare benzina. Zhang, dovendo fare benzina ma avendo con sé solo 50 euro, era entrato nel bar per chiedere alla cassiera di poter cambiare la banconota in altri tagli. La cassiera l’ha ammonito dicendo: «Hai il Coronavirus, non puoi entrare». Immediatamente dopo, un 30enne, che si trovava seduto a un tavolino, ha aggredito Zhang spaccandogli una bottiglia di vetro in pieno volto e lasciandolo sanguinante.
Un altro caso riguarda una colluttazione fra un cittadino filippino e un italiano avvenuta all'interno di un supermercato (LIDL). Per fermare l’aggressione, il primo ha dovuto dichiarare di non cinese ma filippino.
Il DJ Facchinetti qualche giorno fa è intervenuto a soccorrere un anziano cinese che stava subendo le cattiverie di due ragazzini che lo stavano insultando e gli lanciavano dei sassi.
Questa escalation di violenza e odio riporta indietro di un paio di anni, al 2014, quando l’Europa affrontava l’epidemia da Ebola.
Il carpo espiatorio in quel caso erano persone provenienti dal continente africano.
Un episodio particolare che mi coinvolse accadde mentre mi stavo recando in università.
Mentre mi recavo in università in autobus, decisi di sedermi. Una signora, per evitare che mi sedessi accanto a lei, sputò sulla sedia affermando: “Hai l’ebola, non ti sedere di fianco a me negra.” A lezione quel giorno non ci arrivai mai. Ricordo di essere scoppiata in un pianto disperato ed essere scesa alla fermata successiva. Nessuno venne in mio aiuto. Nessuno mi difese. Nessuno ebbe la decenza di dirmi che andava tutto bene e che quella non era l’idea comune.
Conosco lo sguardo del prossimo che guarda con diffidenza, intimidazione e ribrezzo ogni gesto e ogni movimento.
Venire discriminati semplicemente per appartenere a una determinata categoria è avvilente.
E’ un attacco all'umanità delle persone. Nel momento in cui si subiscono atti simili ci si sente mortificati, umiliati e scoraggiati. Impotenti davanti a qualcosa che non si può controllare. Alcune domande sorgono spontanee come: ‘Perché a me?’, ‘Riusciranno mai a vedermi per come sono e non per come appaio?’.
Inizi a darti delle colpe che fondamentalmente non hai. Il dolore che si prova dinanzi a queste situazioni è inclassificabile e non si può spiegare con semplici parole. Ti entra dentro, ti trasforma e ti cambia.
L’ondata di xenofobia che sta coinvolgendo l’Italia - e non solo - è, per questa volta, in chiave anti-cinese; tuttavia è chiaro come questo fenomeno non sia nulla di nuovo. A ogni evento fuori dalla norma, sfortunatamente il paese ha sempre mostrato il peggio di sé, riversando la propria frustrazione nei confronti di chi è visto come un esterno.

Per contrastare quest’ondata di odio ed emarginazione, le comunità cinesi di tutto il mondo hanno deciso di reagire subito con la campagna #JeNeSuisPasUnVirus.
L’appello pubblicato da Lou Chengwang è diventata una campagna social per lottare contro la psicosi generata dal coronavirus.
“Io non sono un virus! Non tutti gli asiatici sono cinesi. Non tutti i cinesi virus. Sono stato insultato in un tram di Bordeaux da alcuni giovani poche ore fa. Se le persone mi insultano perché sono asiatico, non mi interessa. Ma se questo insulto è per mia figlia, è semplicemente inimmaginabile. È tutto molto triste”
L'associazione dei giovani cinesi in Francia (Ajcf) ha denunciato una serie di episodi iniziati da quando i media hanno cominciato a parlare del fenomeno. Offese, battute, insulti, pregiudizi, alimentati anche dai media: il quotidiano regionale “Le Courrier Picard” alcuni giorni fa titolava in prima pagina: “Allarme giallo”.
Il panico è stato creato anche dai media nazionali che nel corso delle ultime settimane hanno fomentato panico generale e dato adito ai razzisti a trovare una scusa per denigrare il prossimo.
La comunità cinese in Italia ha mostrato una grande unità di fronte all'emergenza da virus, chiudendo le proprie attività e in alcuni casi auto-isolandosi per evitare la propagazione del virus.
Quando si analizza il fenomeno del razzismo in caso di epidemia, si nota che i mass media svolgono un ruolo cardine: volontariamente o involontariamente veicolano messaggi subliminali che sono spesso recepiti dal lettore come un’accusa contro determinate persone per le condizioni in cui versa il paese.
Questa analisi superficiale è molto pericolosa perché innesca apprensione, diffidenza e ribrezzo verso coloro che vengono etichettati come ‘untori’ o presunti tali.
In questo particolare momento in Italia è fondamentale interrompere l’emorragia di ignoranza dilagante nei confronti degli asiatici, partendo dall'informazione.
Invito a documentarsi attraverso i canali ufficiali del Ministero della Salute e non a basarsi a fonti che si basano sul sensazionalismo della notizia.
Di coronavirus si può guarire, di becera ignoranza e razzismo si muore.